Agosto 22, 2023
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Se il carattere che principalmente definisce il mito è la lontananza, pur se non sempre necessariamente cronologica, la sua essenza fondamentale consiste nel nascondere, nella maggior parte dei casi, dietro la fascinazione narrativa, fatti realmente accaduti. Si veda, per esempio, uno dei miti più conosciuti come quello di Ulisse dietro al quale si cela, al netto del romanzo, la colonizzazione del bacino del Mediterraneo da parte delle polis greche, la Magna Grecia appunto, e che evidenzia, tra l’altro, di come spesso il mito diventasse veicolo di propaganda politica.
La storia, conosciuta da tutti, della nave Argo con a bordo cinquanta eroi (53 per l’esattezza) guidati da Giasone che salpa alla volta della Colchide alla ricerca sacro vello d’oro non fa eccezione. Ma cominciamo dall’inizio. Anche se la vicenda è più complessa e articolata i fatti salienti sono quelli che raccontano di Pelia, usurpatore del regno di Iolco, del quale invece il legittimo erede sarebbe stato suo fratello Esione che fu in aggiunta imprigionato da Pelia insieme a moglie e figli. Esione aveva però un figlio di nome Giasone al quale lo zio promise che avrebbe liberato tutta la sua famiglia se fosse riuscito nell’ impresa di riportare dalla Colchide a Iolco il mitico vello d’oro di cui si favoleggiava in tutta la Grecia.
Giasone accettò di tentare la rischiosissima impresa e per far questo, dopo aver armato allo scopo la nave Argo, inviò araldi in tutto il paese per raccogliere l’equipaggio che avrebbe dovuto essere costituito dai più valorosi e coraggiosi. Come abbiamo detto in cinquantatré risposero all’appello; cinquantadue uomini e una donna, Atalanta. Tra i più famosi i due dioscuri figli di Zeus, il lottatore Castore e il pugile Polluce; un altro semidio, Eracle e Laerte, padre di Ulisse; e poi ancora Orfeo, il poeta inventore della lira; e ancora Peleo, futuro padre di Achille. Una curiosità: Giasone pretese che ad imbarcarsi fosse anche suo cugino Acasto, uno dei figli di Pelia, ritenendo così di impedire che il re impostore potesse invocare maledizioni che favorissero il naufragio della nave. Dopo innumerevoli peripezie e terribili ed eroiche imprese, come il periglioso passaggio dell’Ellesponto, l’approdo all’isola di Lemno abitata da donne guerriere, lo scontro con i giganti a sei braccia nell’isola di Arto e altre ancora, giunsero alla foce del Fasi, sul Mar Nero, e da lì si spinsero nell’interno.
Qui Giasone, con l’aiuto di Medea, maga e figlia di Eete, re della Colchide che Eros aveva spinto a innamorarsi di lui, riuscì a raggiungere il luogo dove era custodito il vello d’oro a guardia del quale c’era un drago immortale. Medea, con i suoi incantesimi, riuscirà a neutralizzare il terribile animale permettendo finalmente a Giasone di impossessarsi del prezioso cimelio. Il rapporto tra Giasone e Medea continuerà ed avrà un tragico epilogo, ma questa è un'altra storia. Degli eroi nove non faranno ritorno perché morti o dispersi. Si, ma qual’ è la verità che si cela dietro il mito degli argonauti e del vello d’oro? Oltre, ovviamente, la colonizzazione da parte delle polis del bacino del mar Nero e del mar d'Azov, nello specifico qualcosa di molto semplice ed ingegnoso al tempo stesso. E’ ormai appurato dagli archeologi che nella Colchide, terra conosciuta fin dall’antichità per essere ricca di metalli pregiati e che oggigiorno corrisponde alla parte centro occidentale della Georgia, fosse in uso porre nei restringimenti dei ruscelli e nelle anse dei fiumi ricchi d’oro, particolari setacci realizzati con pelli di pecora, in modo che queste, proprio per la loro natura ispida, potessero meglio trattenere le pagliuzze del prezioso metallo.
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